Con decreto del 14 gennaio 2019, la Sezione specializzata in materia di immigrazione presso il Tribunale di Palermo riconosceva la protezione sussidiaria ad una cittadina della Repubblica Democratica del Congo che, nel 1996, fu costretta ad abbandonare il paese di origine a causa della guerra. Questa, trasferitasi in Sierra Leone, prendeva i voti, finché nel 2014, veniva estromessa dall’ordine di appartenenza. Conseguentemente, si trasferiva in Togo, anche per sfuggire ad una imperante epidemia di ebola.
La Commissione Territoriale, valutando gli esiti delle circostanze emerse in sede di audizione personale della richiedente, seppure ritesse sussistente una situazione di instabilità politica del Paese di origine della richiedente, riconosceva solo l’esigenza di protezione umanitaria e non quella di protezione sussidiaria ai sensi della lett. c) dell’art. 14 D.Lgs. 251/2007.
Il Tribunale di Palermo riteneva la presente situazione di instabilità politica, le gravi violenze e violazioni dei diritti umani, la presenza di gruppi armati, l’esistenza di scontri su base etnica, politica o religiosa, le violente repressioni del dissenso politico, una preoccupante epidemia di ebola, nonché le difficoltà di accesso a cure efficaci, quali elementi cumulativamente presenti nella Repubblica Democratica del Congo e integranti la nozione di “danno grave” nell’accezione delineata dall’art. 14, D.Lgs. n. 251/2007.
Inoltre, il collegio giudicante ha ritenuto «fattore di intensificazione del rischio di danno grave […] la specifica condizione della […] donna di religione cristiana»; riteneva poi, alla luce degli elementi citati, integrata la condizione di cui alla lett. c), art. 14, del D.Lgs. 251/2007 in relazione alla presenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato o internazionale, ritenendo tale anche quel conflitto che non rientri nelle categorie tradizionali, proprie del diritto internazionale umanitario, e ciò secondo la nota giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (sentenza del 30 giugno 2014, causa C-285/2012 Diakité).